La Fede ha bisogno di rinascere - il Vescovo Massimo alla UP Paolo VI


Vedere i vostri volti e sentire le voci e le esperienze di qualcuno: questo è il primo obiettivo di una visita pastorale. È innanzitutto occasione di incontro.
La seconda ragione di una visita pastorale è confermare la vostra fede. Una fede che ha la sue radici molto lontane e che non può accontentarsi di vivacchiare ma ha bisogno di rinascere. Una fede scontata è una fede pronta a morire. È la risurrezione di Cristo che avviene adesso in questo istante, in questo incontro: almeno come desiderio è un evento nella misura in cui riconosciamo che Cristo è presente e risorge ora perché la forza del nostro ritrovarci, è la fiamma della nostra carità. La fede necessità continuamente di questa rinascita continua. Fare come Maria e gli Apostoli quando riconoscono il risorto “é il Signore!”

Se ci sono educatori validi, i più piccoli vengono portati a vivere un'esperienza che rimarrà per tutto l'arco della vita. Se quello che ci impegna non ci diverte (non in senso superficiale), se non è fonte di gioia che ci ricreare allora vuol dire che c'è un tarlo dentro la nostra vita, vuol dire che c'è qualcosa di sbagliato perché chi vive di Cristo non può che essere nella gioia.
Nella partecipazione di progetti comunali dobbiamo ricordarci della nostra originalità altrimenti diventiamo motore di progetti di altri. Dobbiamo riscoprire il senso della sussidiarietà perché oggi abbiamo un vocabolario comune che ci divide, usando le stesse parole per intendere concetti diversi.
La Chiesa vi accompagna attraverso i preti che vi manda e il sostegno alla loro responsabilità. Vedete, le profezie ci sono se si cono dei profeti e i profeti non si inventano: li dona lo Spirito. Non esistono profeti costruiti in vitro. Questo non vuol dire che non ci siano più profeti. Il profeta è un genio della sintesi: capta la vita di un momento storico e capisce come vivere quel momento nella fede per un popolo. Questa genialità la dona Dio. In visita al cenacolo francescano ho incontrato bambini di bambini di tutte le provenienze che si sono sentiti a casa, a casa a Reggio nella Chiesa: questo è quello che dobbiamo fare. Lo sport di squadra ha una funzione importantissima nell'educazione alla relazione, oltre alla funzione di prendere conoscenza del proprio corpo in un momento in cui il corpo viene idolatrata e la fisicità negata.
Le persone ci sono messe sulla strada perché attraverso noi possano incontrare Cristo perché c'è una salvezza. Non spetta noi decidere le modalità con cui Cristo raggiungerà quelle persone: la nostra non è una ragione di giustizia ma di carità. Prima di qualunque progetto umanistico (sostanza della nostra relazione) c'è un'opera di evangelizzazione di fondo.

Come educatori, a volte fatichiamo a far partecipare i ragazzi a momenti spirituali e liturgici: come facciamo a capire quando stiamo tirando a ribasso o quando stiamo tirando troppo in alto
 [domanda sulla pastorale giovanile Paolo VI]
La domanda è molto pertinente e mi mette a disagio: non vedo la vita divisa fra momenti spirituali e momenti materiali. Non penso che Gesù vedesse le cose in questo modo. Se leggiamo il Vangelo e ci immedesimiamo nella vita di Cristo, egli proponeva un continuum: non c'erano momenti spirituali e momenti materiali. Si mangiava, si dormiva, si pregava, si cantava, si ragionava, ci si stupiva del cielo, della terra, degli animali, della piante: era una vita assieme. Siamo noi che abbiamo materializzato e spiritualizzato.
Con questo non voglio dire che questa divisione non abbiamo dei significati ma voglio dire che non ci sono persone destinate al mondo spirituale e altre al mondo materiale. Non ci sono ragazzi chiamati a giocare al pallone e altre chiamati a pregare, qualcuno chiamato alla messa e qualcuno a fare altro. Queste sono distinzioni che facciamo noi. È quasi ovvio che oggi la questione della messa si pone in termini completamente diversi rispetto a 30 anni fa, 40 anni fa. Quando io avevo sei anni quando il mio papà mi portava a messa in un paesino sul Lago Maggiore dove eravamo sfollati alla fine della guerra rappresentava per me l'unico spettacolo della settimana: sentivo canti, vedevo il parroco che parlava e spiegava il vangelo. Adesso che cosa è la messa? Speriamo non sia lo spettacolo della settimana. Quale è il problema più grosso? Il problema più grosso è che io non posso partire dalla messa per una proposta cristiana per i ragazzi. Non posso escludere la messa ma non posso partire dalla messa. Devo partire da una proposta integrale di vita cristiana in cui ci sia tutto: ci sia il canto e ci sia il gioco, ci sia la vita dei santi e ci sia la spiegazione di cosa Gesù ha detto e ha fatto, ci siano gite con il sole che tramonta, ci siano i poveri e ci sia il servizio. Allora all'interno di una vita nuova vissuta seguendo Cristo, uno può intuire l'importanza del momento domenicale altrimenti è molto complesso.
Prima di faceva il catechismo come dottrinetta frontale davanti ai ragazzi poi per tante ragioni non funziona più. Allora cosa si siamo detti? Troviamoci a mangiare la pizza: ma che alternativa è? Non è un'alternativa. Non è la proposta di una vita: è la soluzione più facile che un educatore senza idee può mettere in campo. Comunque nell'uno e nell'altro caso ciò che è decisivo non è una tecnica pedagogica: è che cosa realmente sia Cristo per me. Se io vivo di Lui e per Lui troverò le strade perché questo fuoco si comunichi ai ragazzi. Se tutto è in me a livello intellettuale, come una dottrinetta da trasmettere, se non è un amore cosa volete che interessi a un ragazzo di oggi delle idee? È un fuoco da trasmettere e che si può trasmettere dentro la vita quotidiana, dentro il modo con cui leggo il giornale, vedo la televisione, nel modo con cui uso o non uso e sono educato a usare o non usare i social network, al modo con cui mi approccio al mio tempo libero, alla scuola, al lavoro, ai miei genitori, alla ragazza di cui sono innamorato. È lì che questo fuoco si trasmette o non si trasmette. E questo vale per tutti perché l'attesa di Dio c'è in tutti. Se c'è una cosa che a 73 anni posso dire è di rendermi conto di quanto sia difficili cancellare l'immagine di Dio in una persona. È molto difficile. Questo lo dico perché parlo tutti i giorni con dei ragazzi e tutti i giorni vedo che dentro una grande confusione mentale, dentro un grande disorientamento trovo una curiosità di Dio, un desiderio di infinito, un gusto per chi li aiuta a vivere in questa direzione che mi fa dire “beato Dio che ci dà questa generazione”.
Non è dunque un problema di tecniche educative: da troppi decenni abbiamo ridotto tutto a tecniche educative e ci siamo persi dietro la questione del “come” che non sappiamo più il ”chi”. A furia di pensare come comunicare Cristo ci siamo dimenticati che Cristo ci ha detto “non preoccupatevi di cosa direte”. È portare l'accento su ciò che conta e ciò che conta è la vita in Cristo nella piccola o grande comunità in cui sono: questo mi fa essere appassionato. La differenza fra la missione e il proselitismo di cui tanto parla giustamente Papa Francesco? La missione è la comunicazione di qualcosa che mi riguarda come persona, il proselitismo è la difesa di un prodotto.

Al tempo degli Atti degli Apostoli si sa che esistevano i diaconi ma non si sapeva bene cosa facessero: probabilmente avevano tanti compiti. Il Concilio Vaticano II restaurando il diaconato permanente gli ha affidato tre compiti che poi sono realizzati in modo diverso nelle diverse realtà: un compito liturgico, un compito catechistico, un compito di servizio. La vostra realtà qui ha interpretato e ha vissuto il diaconato come vicinanza ai poveri: deve continuare questa tradizione. Non in senso assoluto ma non deve chiudere questa tradizione. I diaconi possono essere degli interpreti molto importanti di questa nuova stagione dell'attenzione ai poveri che la Chiesa diocesana può vivere in questo luogo. Dal 2015 si è aperta una nuova stagione, una nuova stagione che potremmo chiamare della grande migrazione dall'est e dal sud, una nuova stagione che sappiamo quando ha avuto inizio e non sappiamo quando sarà la fine né quai saranno le dimensioni. Voi potete essere interpreti insieme ai diaconi di cosa vuol dire evangelizzazione nella grande migrazione.

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